Amore buio, L’

Sole, mare, birra, canne, tuffi, i corpi delle ragazze, attimi di fermo immagini che correndo in motorino diventano scie colorate, come se un istante diventasse eterno. I 4 ragazzi in motorino si fermano nella loro corsa guardando una coppietta in macchina che si bacia davanti a una casa di lusso. La ragazza scende dalla macchina, ha un vestitino leggero che le fascia il corpo, il fidanzato va via, i due motorini la avvicinano, i ragazzi la circondano, la afferrano e trascinano con violenza, lasciando il suo sandalo argentato e prezioso sull’asfalto.

Un attimo che cambia tutto nelle vite degli stupratori e della vittima, uno strappo violento di fogli e vite fatti a pezzi, pezzi che potranno mai ricomporsi?

Del film ci son tanti strati di lettura, quello sociale, lo strappo, le lontananze e le incomunicabilità tra la Napoli bassa e la Napoli alta, tra la vita di strada e la vita di cultura, parti che non si conoscono, che non s’incontrano se non in crash violenti, quello umano: gli adolescenti, le famiglie. I due protagonisti, Ciro e Irene. Come rimetteranno insieme i pezzi strappati?

Ciro, l’indomani si sveglia con la testa pesante e si va a costituire denunciando anche i suoi compagni stupratori.

Al carcere di Nisida non vede più al di là delle sbarre, e, come un animale in gabbia, riesce solo a tintinnare nervosamente perennemente con le dita senza mai dormire. Attanagliato dal senso di colpa, dall’essersi comportato come un animale. Riuscirà a chiudere occhio solo quando avrà trovato uno scopo, una speranza. Il riuscire a spiegarsi, scusarsi; quattro lettere al giorno per quattro anni indirizzate ad Irene.

Quando la speranza di essere ascoltato svanirà (perché la ragazza lascerà Napoli) Ciro si inabisserà nelle acque di Nisida, non si sa se per morire, fuggire. Ma in fondo, come dirà il padre, la vera prigione è fuori; la vita piena di obblighi, responsabilità, e una realtà-gabbia in cui se non si collude con i camorristi della zona tutti i giorni si ritrova in fiamme la propria macchina e attività lavorativa. Ma Ciro decide di non arrendersi, di uscire di lì dopo aver scontato le sue pene interiori. Spera un giorno di incontrare il di lei sguardo. Ciro la sa la differenza tra scopare e l’amore, e la bellezza di Irene la chiama amore.

Irene, si sente una pietra, una morta, un fantasma, un guscio vuoto. Vaga silenziosa in una famiglia incapace, un padre assente, una madre vicina ma distante, la costante presenza per casa di una psicologa anch’essa totalmente incapace di accogliere Irene, un fidanzato presente ma che non la vede affatto, neanche quando la bacia e ha rapporti sessuali con le. Lei che invece continua solo a rivivere e vedere i frame dello stupro.

Non si parla mai della “cosa”, nessuno lo fa, nessuno la vede. L’unico modo che trova Irene per esternare è frequentare un corso di recitazione, per essere un’altra se stessa: Rosa, con le spine. Può così continuare a recitare nella realtà, nella sua vita sull’alto della collina, distaccata dal mondo, dove tutto il suo futuro è programmato da altri: andare dopo la maturità con il fidanzato a vivere negli States.

L’unica cosa che smuove questa assenza è l’arrivo delle lettere di Ciro. Prima vengono con rabbia strappate, ma dopo un’immersione nei vicoli di Napoli, una chiesa e la carne dei dipinti di Caravaggio, Irene decide di ricomporre i pezzi, Irene vuole capire, vuole conoscere, una parte della città, di mondo, di Ciro.

Abbiamo assistito al film con il regista che si crucciava del successo dei film “cartolina”. Ma una cartolina è ferma, ha dei margini controllabili e visibili, rassicuranti. I film di Capuano no, mostrare le viscere, come quelle di Caravaggio, scuotono “troppo”. Si vedono mondi dolorosi. “Troppo”. Realtà ingestibili, come uno stupro. Non c’è un inizio e una fine. Ragioni abbastanza chiare e gestibili da poter decifrare il perché di un atto di tale violenza accecata dalla bellezza. Non c’è una fine di dolore, paura, terrore in una vittima di un atto così.

Il grosso pubblico vuole le cartoline dove al The end c’è veramente la Fine. Con i film di Capuano non c’è Fine. Dopo si continua a pensare, a soffrire, ad esser scossi.

Per me lo strappo e la distanza tra i mondi della città è incolmabile, se e dove l’unico modo espressivo è la violenza, l’unico possibile può essere a livello umano dove lo scambio, partendo da un livello interno, può essere più facilmente toccabile, riconoscibile e quindi comunicabile.

Molto bello il personaggio di Ciro e molto bravo l’attore, Gabriele Agrio. Gabriele Agrio ti trasfonde tramite i suoi occhi tutta la sua lotta interiore che all’improvviso repentina ti colpisce, come una capata in faccia, lasciandoti sanguinante. Come tutto il suo essere.

Bellissima la “poesia” che legge Ciro in pubblico, in realtà scritta dal regista.

Film tratto da una storia vera, anche se nella realtà Ciro e Irene si sono sposati e hanno avuto due figli.

Ultimo ruolo dell’attore Corso Salani, il padre di Irene nel film.

Rating: ★★★★★★★½☆☆ 

Regia e Sceneggiatura: Antonio Capuano

Cast

Irene: Irene De Angelis
Mamma di Irene: Luisa Ranieri
Analista di Irene: Anna Ammirati
Padre di Irene: Corso Salani
Psicoterapeuta: Fabrizio Gifuni
Ciro: Gabriele Agrio
Anno: 2010

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