Mediterraneo
Oscar come miglior film straniero Mediterraneo conclude la cosiddetta “trilogia della fuga”del regista Salvatores, composta da Marrakech Express del 1989 e da Turné del 1990, ovvero il trittico di film dedicati alla poetica della fuga verso una nuova forma di interiorità, di individualità, di impegno non condizionato dall’ideologica spesso deludente.
Il film inizia con la citazione di una frase di Henri Laborit “In tempi come questi la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare” e termina con una didascalia “Dedicato a tutti quelli che stanno scappando”.
Nel giugno 1941, otto militari italiani sbarcano su una piccola isola dell’Egeo (in realtà Castelrosso (Megisti in lingua greca), posta a sud-est di Rodi, nel Dodecaneso), con il compito di stabilirvi un presidio italiano.
Inizialmente l’isola appare deserta, perchè parzialmente abbandonata dalla popolazione greca dopo aver subito la precedente sanguinosa occupazione tedesca, vi restano solo donne anziani e bambini.
I soldati sono comandati dal tenente Montini, un insegnante di latino e greco al ginnasio con la passione per la pittura, il variegato gruppo di soldati si riveleranno assolutamente inadatti all’attività militare, dato poi l’isolamento per l’avaria dell’unico mezzo di comunicazione con “la guerra”, ognuno di loro inizierà a dedicarsi ad altro, fumo, sesso, cibo e partite di calcetto.
In sostanza come l’italiano medio in vacanza.
Tre anni dopo atterra li un aereo da ricognizione italiano costretto a compiere un atterraggio d’emergenza sull’isola; il pilota, stupito, comunica ai soldati ciò che è avvenuto negli ultimi tempi: la caduta del fascismo, la fondazione della RSI e l’armistizio con gli anglo-americani firmato dall’Italia. E quindi il conseguente ritorno in patria.
Ci sono sogni, speranze, progetti, che verranno poi tutti infranti dalla realtà italiana, nella quale non si è affatto compiuto quel processo di rinnovamento in cui si sperava fortemente.
Infatti in realtà Mediterraneo è un film generazionale, quella del regista, quella che agli inizi degli anni novanta si ritrova orfana di un impegno politico «in bilico tra un’utopia che sfuma e un realismo che incombe».
Iconico, in cui il regista con vivaci pennellate ci mostra l’italiano e l’Italia.
Rating:
Regista: Gabriele Salvatores
Cast
Diego Abatantuono: Sergente Maggiore Nicola Lorusso
Claudio Bigagli: Tenente Raffaele Montini
Giuseppe Cederna: Antonio Farina
Ugo Conti: Luciano Colasanti
Claudio Bisio: Corrado Noventa
Gigio Alberti: Eliseo Strazzabosco
Antonio Catania: Tenente Carmelo La Rosa
Vana Barba: Vassilissa
Memo Dini: Libero Munaron
Vasco Mirandola: Felice Munaron
Luigi Montini: prete ortodosso
Irene Grazioli: pastorella
Alessandro Vivarelli: Aziz
Anno: 1991
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