Mad Men 6.12 – The Quality of Mercy
Chi ci salverà?
Chi avrà pietà di noi? Chi prenderà le nostre parti? Chi ci metterà in guardia sul risultato delle nostre azioni? Dal dolore che ci posson procurare i legami affettivi?
Donald fa a lavoro, su Ted e Peggy, quello che ha fatto Sally su di lui, la stessa azione che la figlia poi mette in atto sul suo amichetto d’infanzia.
Nella sua regressione allo stato infantile…
Il sesso, l’innamoramento, l’idillio viene interrotto per attirare l’attenzione su di se, su chi ha bisogno d’esser salvato/a. Punendo se stesso come è stato già punito dalla figlia, perdendone un’altra, Peggy.
Donald, dopo la scoperta e il rifiuto verso di lui di Sally, si erge a salvatore/mentore per chi non ragiona con la testa ma si fa trasportare dall’innamoramento/passione, chi ci mette il cuore, come lui aveva fatto con Sylvia, per invidia verso chi è capace di viverla e per attirare l’attenzione su di se. Perché ha bisogno che qualcuno lo valuti o perché qualcuno lo ringrazi per esser stato salvato (visto che non salvò Joan, non ha salvato Sally dalla ladra in casa sua, non l’ha salvata dall’orribile verità su di lui, è un traditore di una della sua età). E non a caso l’azione da “salvatore” sono le ultime volontà di un uomo morto.
Così fa Sally, in un gioco perverso e sadico alla Betty, in cerca di gratificazioni e senso del potere grazie alle faccette seduttive, un po’ alla Donald.
Il suo cavaliere si era appartato con un’altra, non guardava più lei (come Peggy non guarda più affascinata Donald), ma figlia e padre hanno bisogno di esser salvati, protetti, da qualcuno che deve ritornare in loro potere.
Ma Peggy non casca più in questo gioco, così come Sally, e vedono Donald solo come un mostro che uccide le brave persone, gli innocenti, i candidi.
E anche Pete riconosce in Bob un mostro già conosciuto in passato, un uomo senza identità, senza un apparente passato, Donald Draper.
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