Mad Men 6.07 – Man With a Plan
I bambini giocano ai padroni… di niente
Come su una giostra del “l’abbiamo già visto, l’abbiamo già vissuto” chi gioca al padrone si rovina e distrugge con le sue stesse mani.
Il “bisogno” viene gestito con il controllo, con l’affermazione di chi è il padrone (anche di se stessi), ma nel continuo mutamento la statica immobile chiusura viene rigettata con un ribaltarsi dei ruoli e delle posizioni.
Con la fusione dei due studi la collettività e il confronto è vincente; Donald, che invece vorrebbe riproporre lo stesso schema da padrone egocentrico, viene escluso dalla riunione dei creativi perché in ritardo, ormai sono autosufficienti e non hanno più bisogno di lui.
Per vendetta e autoimposizione fa ubriacare Ted che, davanti al gruppo, fa la figura del pupazzo; ma Peggy, che ormai è “andata oltre”, va a riprendere Don nel suo ufficio dandogli dell’infantile e gli dice di “andare avanti”.
Ma Donald ripete lo stesso giochetto da burattinaio, fino a che i fili si spezzano, anche nel privato; Sylvia, caccia il marito, e dice a Donald che ha bisogno di lui, lui è insostituibile, questo potere datogli da lei fa uscire in lui le sue fantasie da padrone sulla sua geisha che, rinchiusa in una camera di hotel, non deve avere altro pensiero e desiderio se non lui.
All’inizio la burattina asseconda il suo padrone per rilassarsi e non pensare ma alla fine, vergognatasi dalla realtà di come lui usa quel rapporto, taglia i fili di netto della loro relazione.
La cosa buffa è che quando dice al marito di andarsene gli rinfaccia “Dì che non dai mai retta a nessuno perché tanto hai già capito tutto tu! …Non è per me che lo fai, lo fai solo per te stesso!”… “Non posso preoccuparmi per nessuno all’infuori di Arnold, nemmeno per nostro figlio”, proprio quello che è e fa Donald.
Ed è come se si ritornasse ad un gioco di ruolo già visto nel suo matrimonio con Betty, che viveva senza interessi, senza pensieri, se non l’attesa del suo ritorno a casa, apparentemente felice ed appagata solo dai bei vestiti regalatele.
Un altro che si erge a padrone è Pete, disorientato del cambiamento e terrorizzato di perder la sua poltrona, di colpo si ritrova parcheggiata a casa la madre con evidenti segni di Alzheimer, che vive più palesemente le sue stesse sensazioni di smarrimento. “Hanno sparato a quel giovane Kennedy” gli dice, e Pete risponde “è successo anni fa”, ed invece questa volta si tratta di Bob, ma è come se ci si trovasse sulla stessa giostra temporale, succedono sempre le stesse cose.
Si fanno sempre gli stessi errori/orrori, “stanno sparando a tutti”.
Ed anche di Pete si fa a meno a lavoro, anche lui non è indispensabile, Ted precipitevolissimevolmente si prende la sua rivincita; Pete è assente per l’importante meeting in agenda e viene lasciato a terra mentre Ted, pilota provetto, ci porta in volo un Donald terrorizzato dal non avere ora lui il controllo della situazione.
Ted è il futuro, alle riunioni dei soci cede la sua poltrona alla sua segretaria, è puntuale, professionale, sorridente, fa esprimere collettivamente e paritariamente tutti i creativi, ed è capace di star vicino all’amico e collega malato di cancro.
E Ted, che ancora non capisce questo misterioso Donald, gli chiede se faranno di nuovo così “Tu steso sul divano mentre io faccio su e giù?”. Rivelando inconsapevolmente il succo delle loro differenze, l’immobilità di Donald e l’azione di Ted.
Donald perde su tutta la linea, perpetrando il suo solito schema; il suo bisogno d’amore ed attenzione lo fa concretizzare in sadico predominio, non riuscendo a dar voce diversamente alla “mancanza”, infatti speranzoso chiede a Sylvia “ti sono mancato?”. Come non riuscì ad affrontare quella di Anna Draper morente.
Roger licenzia Burt Peterson per la seconda volta.
Ne esce vincente Bob Benson, direte “ma chi è?”, l’uomo che è attento e soddisfa i “bisogni” degli altri, il Man With a Plan, ha sempre un caffè supplementare in mano da offrire in ascensore ancor prima che si arrivi a lavoro, compra a fine giornata la carta igienica a Pete che se n’era dimenticato, lo accompagna a mignotte e gliele vorrebbe pagare, vede Joan che accusa dei dolori addominali e l’accompagna in ospedale.
Lei cerca di mantenere il controllo ma lui, in prolungata attesa al pronto soccorso, con una parlantina accondiscendente dandosi dell’imbecille rende l’infermiera alla reception l’indispensabile “padrona” della situazione così da ottenere finalmente il ricovero e le cure per Joan.
Si presenterà a casa sua successivamente per sapere come sta e portando in dono un pallone da rugby per il figlio, Joan lo sa che Bob lo fa solo per il lavoro ma lo premierà per le cortesie e le attenzioni ricevute, salvandogli il suo posto durante i licenziamenti post fusione.
Sylvia era finalmente libera e Donald avrebbe potuto averla veramente e completamente per se, in un rapporto paritario di scambio e condivisione d’interessi, pensieri ed emotività, ma evidentemente il “bisogno” è talmente grande e totale da far perder poi il “controllo” di se in un rapporto a due, esser talmente bisognosi e dipendenti da dover dire “please”.
Ma è un gioco a cui Donald non sa ed è terrorizzato di giocare, come il trovarsi in un aeroplanino nella tormenta delle emozioni nel quale il pilota è l’altro.
Anche con Peggy non ha voluto ammettere il suo “bisogno” di lei e la sua mancanza, non l’ha portata a cena per riassumerla, non ha avuto la forza e il coraggio di dirle “please”, anche con lei ha di nuovo giocato al solo ruolo che sa interpretare, il padrone, perché un rapporto alla pari non lo sa gestire, o si aggrappa alle gambe della sua ancora di salvezza o, quando sente che ha altri bisogni oltre lui, non è all’altezza di accettarli e gestirli.
È più rassicurante il gioco che già si conosce in cui ci si sente il padrone del rapporto, anche se non si ha più nulla da ascoltare o da condividere.
“A volte quando voli pensi di essere dal lato giusto, e invece sei a testa in giù”
E come il libro che Donald legge in volo, preso a Sylvia, questo è proprio… The Last Picture Show – L’ultimo spettacolo.
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